Cari ascoltatori, questo è il primo di una serie di podcast nei quali andremo man mano a capire come funziona la nostra mente.
Nel quotidiano molto spesso ci troviamo ad adottare, talvolta quasi senza rendercene conto, dei comportamenti contrari a quello che avevamo deciso anticipatamente di fare. Nel funzionamento della nostra mente, infatti, molti aspetti sono letteralmente anti-intuitivi, al contrario della logica normale che il nostro pensiero potrebbe seguire.
Quando ci troviamo a decidere qualcosa che ci riguarda in prima persona o che è importante per noi, siamo portati a pensare che la decisione sia il frutto
di un percorso di grande razionalità e linearità. Scopriremo invece insieme che le cose non stanno esattamente in questo modo.
Cominciamo in questo primo podcast ad occuparci di una situazione molto comune nei giorni immediatamente seguenti al Capodanno: da pochissimo è iniziato il nuovo anno e quale momento migliore vi è per formulare buoni propositi, ottime intenzioni, per predisporci a dei cambiamenti?
In generale, tutti i periodi che coincidono con la fine dell’anno e l’inizio di un nuovo anno sono periodi di bilanci, di previsioni e di buone intenzioni. Tuttavia, quasi sicuramente tutto questo dura “da Natale a Santo Stefano”: in pochissimo tempo di tutta questa grande serie di buoni propositi rimane molto poco, al punto che nemmeno quasi ce li ricordiamo più. Ma allora che cosa succede nella nostra mente? Come mai noi agiamo in questo modo? Perché a fronte di tutta una serie di predisposizioni anche ben ragionate poi il tutto non va nella direzione prospettata?
La prima cosa che dobbiamo avere molto chiara è che la mente umana non è razionale; dunque, è inevitabile che a livello mentale vi siano una serie di meccanismi che agiscono da sabotatori, da elementi che ci fanno inciampare nel ragionamento boicottando letteralmente il nostro pensiero. Ed ecco quindi che emergono i concetti di bias e di fallacie del ragionamento, concetti che dovremmo imparare a conoscere perché in questi elementi sta una grande parte della spiegazione del perché le cose non vanno sempre come in teoria avremmo deciso a priori.
La psicologia del pensiero studia proprio gli errori di pensiero, errori che definiamo bias. Si tratta di errori sistematici di giudizio dei costrutti delle ideologie che guidano il nostro ragionamento e che pregiudicano il ragionamento stesso, influenzano le decisioni che prendiamo quotidianamente ma anche il modo con cui noi andiamo a giustificare, categorizzare, inquadrare, comprendere e definire le informazioni che riceviamo dal mondo esterno.
La psicologia del pensiero cerca di studiare i bias e le cosiddette euristiche, le procedure con cui noi arriviamo a costruire delle ideologie e dei costrutti, cioè il modo in cui noi ragioniamo. Si tratta di una delle discipline più giovani della neuropsicologia ma con dei riscontri molto importanti in molte realtà, ad esempio nel marketing e nella finanza comportamentale.
Uno dei bias di cui ci occupiamo oggi è proprio quello che caratterizza il nostro atteggiamento all’inizio dell’anno e cioè una propensione ottimistica a pensare che le cose sicuramente andranno bene, se non altro meglio di come sono andate prima. Si tratta del cosiddetto bias dell’ottimismo, un tipo di errore sistematico di giudizio tale per cui noi riteniamo che tutto sommato la possibilità che ci accada una disgrazia non è poi così alta, è più facile che capiti agli altri che non a noi!
Le neuroscienze, le scienze che si occupano di capire il funzionamento della mente e di indagare le basi dei comportamenti umani, sono concordi nel ritenere che le persone siano tendenzialmente più ottimiste che realiste, anche se in verità ognuno di noi è convinto di essere molto oggettivo e razionale.
In realtà, una serie di studi dimostrano che le persone sottostimano la possibilità di divorziare, di perdere il lavoro, di ammalarsi, di avere una situazione di vita difficile e questa tendenza va appunto sotto il nome di optimist bias.
La cosa interessante è che riguarda tutti, nessuno escluso, e senza differenze di genere, età, classe o status.
Questo, se vogliamo, è un aspetto anche positivo: in un certo senso è un regalo che la mente ci fa per proteggerci dall’angoscia, aiutandoci a gestire situazioni molto critiche. La nostra mente in qualche modo vede le difficoltà che però sono più relative agli altri e alla collettività e meno rivolte a noi stessi.
Collegato al bias dell’ottimismo vi è il bias cosiddetto dello status quo e cioè quello che ci spiega perché nonostante i buoni propositi di cui abbiamo parlato in questo podcast, poi alla fine combiniamo poco. Tutto quello che riguarda il cambiamento richiede sia uno slancio in un’area di rischio sia uno sforzo e quindi a volte questo passaggio non risulta facile; perciò, alla fine il buon proposito rimane assolutamente soltanto un buon proposito e nulla di più.
Per concludere questo contributo, ringraziando coloro che hanno resistito fino al termine di questo podcast, voglio lasciarvi con un pensiero di Alfred Ernest Mander, uno psicologo britannico scomparso verso la metà degli anni ’80, il quale ben sottolineava che pensare è un lavoro che richiede abilità e che non è vero che si è dotati naturalmente della capacità di pensare in modo chiaro e logico senza imparare come o senza fare pratica come del resto si fa per qualsiasi altra cosa come ad esempio uno sport o imparare a suonare uno strumento. Il mondo è pieno di persone convinte che pensare in modo preciso e lineare non richieda alcuna abilità e che chiunque lo possa fare e che il modo di pensare di una persona sia affidabile quanto quello di qualsiasi altra persona.
Con queste parole vi lascio e ci riascoltiamo alla prossima, grazie per l’attenzione!
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